Una storia, vera, che vuole essere di buon augurio per il nostro Comitato per il Parco.
Una tabella nel
bosco presenta una insegna. La scritta recita: “San Francesco 1181 – 1226 Ecologo”. Non “santo” ma, appunto, “ecologo”.
Agosto 1995. La
battaglia estiva in difesa degli alberi del Parco di Monza dai tagli nell’area
del circuito non è andata così bene. I nostri eterni avversari si sono mossi
con imprevedibile anticipo. Consolarsi fuori porta può aiutare. Mi telefona l’Alberto
“Zangi” Zangirolami, colonna dell’allora WWF Lombardia, e in prima fila al
nostro fianco. “Domani vieni a fare un giro nella zona del Parco della
Brughiera? Lì, sì che pensano a proteggere il territorio…”. I giornali, giusto
qualche giorno prima, annunciavano la nascita – per essere precisi,
bisognerebbe parlare di definitiva costituzione dell’ente gestore, il Parco era
già stato istituito un decennio prima – del Parco della Brughiera Briantea, a
cavallo tra la provincia di Como e la allora provincia di Milano. Tra Lentate,
Mariano Comense, Cabiate e Meda. Ci dirigiamo in quel di Cabiate. Mi aspetterei
di camminare per boschi e sentieri. Nossignori: lo Zangi, parcheggiata la
macchina, mi conduce al cancello di una villetta.
Ci accoglie
Piero Ronzoni. La villetta, scopro quasi subito, è in realtà abitazione e
bottega: la Brianza del fare, cui mann (con le mani). E delle aziende su base
famigliare. “Sì, ma io vorrei visitare il Parco”, lamento tra me e me. Nel
laboratorio del Piero, legno da intagliare, manufatti (sempre in legno) da
rifinire e rifiniti, roba da restaurare. E attrezzi. Scalpelli, mazzuole,
sgorbie, bedani, mazzuoli… Un’opera, mostra orgoglioso il nostro anfitrione,
“l’è per ul cardinal Martini”. Ma, capriccio da artista, l’artigiano cabiatese
mica è disponibile con chiunque. Se il potenziale cliente non è dei più
graditi, il Ronzoni fa leva – sorta di Chiarugismo sui generis – sulle nocche consunte.
“Ma foo cun chi man chì…” (come faccio con queste mani…).
Dall’abitazione
laboratorio, attraversiamo un insospettabile giardino. Un cancello in metallo. Dall’altra
parte, il regno del Piero. Eccolo il Parco Brughiera, nel settore cabiatese. Un
dedalo di stradine e sentieri ci conduce per i boschi. Bosco fitto, percorso da
canaloni. Per attraversarli, dei ponti anzi delle passerelle pedonali. In
legno, va da sé. Ognuno con un suo nome e un numero di identificazione, e con
cartelli che ricordano i divieti per bici e cavalli. Ore di lavoro per
erigerli: opera del Ronzoni e degli altri volontari cabiatesi. “I robb g’hann
da vess faa cuma disumm nümm”, (le cose devono essere fatte come diciamo noi),
per dirla con motto che più brianzolo non si può. Le procedure canoniche
saltate a piè pari: i summenzionati ponticelli non sarebbero propriamente
autorizzati. Ma anatema colpisca in modo imperituro chi osa contestare
qualsivoglia operazione al gruppo dei volontari. Operare direttamente sul campo:
un modo di essere ambientalisti. Anzi verdi. Colore che può davvero tingere
chiunque, mica solo una parte politica, che si attribuisce venature smeraldo da
sempre. “Verd? A semm tütt verd!”, conciona secco il Piero. “Qui non hanno
propriamente i concetti scientifici…”, fa da contraltare lo Zangi, sottovoce. E
mi indica alcuni obbrobri vegetali: bambù, lauroceraso, e altre amenità. Le
piantumazioni della squadra capitanata dal Ronzoni non seguono propriamente i
dettami della fitosociologia e dell’ecologia delle aree forestali.
Soprassediamo, per il momento.
Dei bidoni in
plastica, tipico ammennicolo da orto, son piazzati in più punti. Raccolgono
acqua in occasione delle piogge. Nelle notti di vento, il Piero fatica a
prendere sonno. Anzi, rimane vigile: la paura di eventuali incendi boschivi
domina. L’acqua dei bidoni è lì pronta per rintuzzare le eventuali fiamme.
Siamo tutti
verdi: anche San Francesco lo era. Ante litteram: attribuire al santo il titolo
di ecologo è tutt’uno con il bosco a lui dedicato. Nella Brianza
inguaribilmente di Chiesa, il Ronzoni non manca di essere buon parrocchiano. Nella
Parrocchia e nella Balena Bianca dei tempi. Ma lo spirito ambientalista non è
propriamente gradito in casa DC. Creare un’area protetta anzi l’Area Protetta,
ovvero il Parco della Brughiera: questo l’obiettivo del Piero e degli altri
(pochi) pazzi visionari. La faccenda non è ben vista dai democristiani. Ne
conseguono un paio di espulsioni dal partito, con successivi rientri. Il
parroco – onda lunga del Cantico delle Creature – è invece a favore del Parco.
E offre il suolo del sagrato per le raccolte firme. Gli avversari del Ronzoni e
dei suoi compagni di avventure non demordono. “m’han anca stravaccaa ul taul in
piazza…” (mi hanno anche rovesciato il tavolo in piazza). Siamo tra Rachel
Carson e Guareschi. In effetti, le vicende assumono contorni guareschiani; in
salsa brianzola però: le contese rimangono circoscritte in ambiti bianchi. Il
rosso attecchisce poco tra Cabiate e il Lecchese.
Nasce il Parco.
Non tutti i frequentatori del medesimo sono propriamente graditi a chi fa della
tradizione vessillo inammainabile. “van in gir ca paran di fasan” (vanno in
giro che sembrano dei fagiani), sacramenta il Ronzoni, riferendosi a ciclisti
attrezzati di tutto punto.
Ma ci sono
frequentatori estemporanei e totalmente inattesi. Una mattina, del trambusto inusuale
richiama l’attenzione del nostro. “s’hii dree fà?!” (cosa fate?), grida il
Piero. Nei boschi vicino a casa – sacrilegio, sommo sacrilegio – si muove una
truppa militare. “…questi chì hinn i mè busch” (questi sono i miei boschi!).
Esercitazione della NATO, nientemeno. Internet, forse, in embrione. Facebook e
social lontani da qualsivoglia immaginazione. Si può solo confidare, all’epoca,
nell’appoggio del Quarto Potere. Il Piero chiama un amico cronista, che scatta
una serie di istantanee. L’ufficiale, disorientato, ordina inatteso
dietrofront. Pericolo scampato? Minga tropp.
Il giorno dopo,
la truppa ritorna sul posto. I militari indossano grigioverde d’ordinanza. Ma
la dotazione non è propriamente classica. Invece di armi e affini, i soldati
maneggiano un equipaggiamento più adatto ad attività agricole. Con pale e altre
strumentazioni, dan di buona lena per sistemare le aree forestali scompaginate il giorno prima. “Dovete scusarci” – spiega l’ufficiale – “non sapevamo che la
zona fosse Parco”. Mai intervento della stampa e, va da sé, di un volontario fu
più efficace. E truffaldino, a suo modo. Il fatto è che la zona “l’era no anmò
Parco” (non era ancora Parco), sorride compiaciuto il Ronzoni.
Fu l’ultima
volta che ebbi a che fare con lo Zangi: le nostre strade si sarebbero divise di
lì a poco, per impegni vari. Non ebbi più l’occasione di incrociare Piero Ronzoni.
Ma il destino assume contorni curiosi. Anni e anni dopo – chi se lo sarebbe
immaginato allora? –, avrei finito per lavorare per il Parco della Brughiera.
E, proprio girando per Cabiate, nel 2016 un annuncio funebre mi segnala la
scomparsa di Piero Ronzoni. Giù il cappello di fronte ad un grande dell’ambientalismo
di casa nostra. Forse, penso adesso, avrei potuto vergare una nota, in calce
agli annunci funebri, “L’uomo che fermò i cannoni della NATO”.
Matteo Barattieri
Che Storia! La Storia di Piero Ronzoni e quella del "suo" Parco. Nel 1983 la sua Bottega, fucina carbonara del Comitato per il Parco Regionale, fino a quando ha avuto la forza. Con Michele, Nuccio, Maurizio, Eugenio, Marino (che ci ha lasciato proprio in questi giorni), Roberto, Gianni e poi Giuseppe e Iolanda...Grazie a Matteo (anche per la citazione di Alberto e del WWF che fù...)
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