Domenica 11 dicembre 2011, passando per il centro noto che il Lambro è completamente asciutto. La molla è immediata: due passi nel letto del fiume si impongo. Un gradito ritorno, è da qualche tempo non mi capita l’opportunità per effettuare questa piacevole escursione. Contatto l’Alessandra Riva, appassionata fotografa, che si lascerà facilmente coinvolgere, portandosi dietro il Marcello, ben contento di percorrere il fondo del fiume.
Sull’escursione e sul relativo materiale fotografico che ci portiamo a casa torneremo poi. Qui dedichiamo spazio alla fauna rinvenuta.
Purtroppo arriviamo tardi: ci fossimo resi conto della situazione qualche giorno prima – negli ultimi tempi non mi era capitato, se non di fretta, di passare per il centro – saremmo intervenuti. Eh, sì: appena a monte del Ponte di San Gerardino in alcune buche del letto del Lambro troviamo diversi pesci morti. Avevano trovato rifugio nelle ultime chiazze d’acqua. Non si dovrebbe dire, ma: “date ad un naturalista degli animali morti e lo renderete felice”. In effetti…. Sul tema si potrebbe aprire un florilegio di episodi che la nuda cronaca del piccolo ci ha tramandato. Si narra di una lei che abbandonò il fidanzato dopo un invito ad una passeggiata nel bosco. L’obbiettivo non era punto romantico: il nostro voleva recuperare i resti di un cervo. Il sottoscritto è stato a sua volta protagonista di episodi conditi da vene grandguignolesche e da immancabile umorismo nero. Ma sono altre storie.
Questo blog ha caratteri naturalistico-divulgativi. Veniamo al sodo.
Non sono certo un esperto di ittiofauna. Per stendere queste note – e riconoscere in modo sicuro le specie, va da sé – mi sono valso di una bella pubblicazione della Provincia di Lecco: "Guida per il riconoscimento dei pesci della Provincia di Lecco". Realizzata dalla Provincia di Lecco (a cura di Marco Aldrigo e Roberto Facoetti), credo sia ancora disponibile, chiedendola al Settore Ambiente, Ecologia, Caccia e Pesca (è gratis).
Non tutti i pesci sono morti. Il pesce gatto mostra – è una conferma – una grande resistenza. Probabilmente sono diversi giorni che si trovano fuori dall’ambiente liquido, ma gli esemplari di questa specie sono ancora vivi e vegeti. Alcuni saranno salvati da varie mani.
Altre specie hanno minori capacità di fare a meno per periodi dell’acqua. Si riconoscono: lucioperca, cavedano, barbo.
Premessa fondamentale: la qualità delle foto è pessima. L’autore, il sottoscritto, è completamente estraneo al mondo delle istantanee. Ovvie le scuse per i lettori di questo blog.
Lucioperca
Partiamo con il lucioperca. La foto sottostante mostra la livrea dell’animale, che ricorda quella del pesce persico, per la presenza di striature scure, nota caratteristica di quest’ultimo. Il pesce persico però ha struttura più tozza; facendo fede al suo nome, il lucioperca ha corpo più slanciato, proprio da luccio.
La pinna dorsale è un elemento molto molto caratteristico. È divisa in due parti, ed è maculata, come mostrano le foto che seguono.
Questa è la parte anteriore della dorsale….
…e questa è la parte posteriore. Le macchie, a forma di striature, sono ben visibili su entrambe le parti. Si nota anche come la porzione anteriore sia costituita da raggi spinosi.
Il lucioperca è uno dei tanti pesci esotici – origine: Asia occidentale ed Europa centro-settentrionale – immessi nelle nostre acque in modo irresponsabile e colpevole.
Barbo
Il muso ha quattro barbigli, due per lato. Nella foto si vede un barbiglio: è quella sorta di baffo scuro aderente al muso.
La consultazione dei testi lascia qualche dubbio sull’esatta classificazione dell’esemplare rinvenuto. Cito la pubblicazione della Provincia di Lecco:
“Si stanno sempre più diffondendo specie di barbo alloctone note come Barbo d’oltralpe, barbo del Danubio, barbo iberico: non è ancora chiaro se si tratti della stessa o di più specie….”
Se ci basa sulla “Guida dei pesci d’acqua dolce d’Europa” (ed. Muzzio), la forma della dorsale, che ha la parte posteriore con le estremità più lunghe (vedi foto qui sotto), dovremmo parlare di barbo d’oltralpe. La guida lecchese fa rientrare il barbo tra le specie autoctone o naturalizzate.
Cavedano
Finalmente una specie indigena in toto. La forma è slanciata, come si vede qui sotto.
La nota più caratteristica è rappresentata dalle squame, grosse: il loro insieme disegna una rete che avvolge l’animale.
L’argomento è affascinante. Ci torneremo, con alcune immagini delle squame.
Alla prossima
Matteo Barattieri