lunedì 4 aprile 2022

A proposito delle dannose nutrie: un intervento di Francesco Cecere (WWF, Lombardia)

un intervento perfettamente condivisibile
intervento apparso su Il Post (1 aprile)
un grazie a Francesco del WWF Lombardia, vecchia conoscenza (tanti anni che non ci si vede)


Francesco Cecere, il WWF Lombardia e le Nutrie... su il Post di oggi!
Con l’arrivo della primavera abbiamo ricominciato a vedere le prime nutrie, nei parchi, lungo i Navigli o nelle prime periferie agricole della città. Scure, grosse e lente, ci siamo ormai abituati alla loro presenza: ma sono in realtà una specie invasiva e aliena – o IAS, secondo la definizione dell’Unione Europea. Non c’entrano nulla, infatti, col clima e il territorio di Milano e del Nord Italia. Questi roditori quasi pucciosi sono arrivati negli anni Settanta e Ottanta dal Sudamerica, da dove furono importati per la produzione di pelliccia a basso costo: il famoso Castorino, per chi c’era o per chi lo ha ritrovato negli armadi dei genitori. Un guadagno facile, per i piccoli produttori: almeno fino a quando il mercato si è saturato e la passione per le pelliccia è calata. A quel punto, invece di pagare chi smaltisse gli animali, i piccoli produttori hanno dimenticato, ehm, le gabbie aperte e le nutrie sono scappate.
Da quel momento hanno iniziato a proliferare a ritmi insostenibili. «In sostanza sono erbivori che non hanno predatori e che hanno un tasso di riproduzione impressionante, nel senso che partoriscono due cucciolate l’anno a pochi mesi dalla nascita» spiega Francesco Cecere, delegato locale del WWF. Anche per questo è difficile, se non impossibile, fare una stima di quante ce ci siano attualmente a Milano.
I danni maggiori le nutrie li fanno in campagna, dove divorano raccolti di soia, mais e grano. E poi scavano le tane vicino agli argini dei fiumi, creando vuoti e crolli pericolosi. Per non dire delle volte in cui attraversano improvvisamente le strade creando problemi a macchine e biciclette.
«Sarò brutale: arrivati a questo punto non vedo soluzioni» dice ancora Cecere. «Abbiamo preso in considerazione tutte le possibili strade, ma eradicare la specie con una giusta morte è l’unica percorribile». Riportarle in Sudamerica sarebbe infatti uno spreco di soldi, spiega Cecere, e sarebbe costosissima anche una sterilizzazione di massa, l’opzione su cui insistono i gruppi ambientalisti. Impossibile pensare a una zona protetta in cui chiuderle, perché servirebbero migliaia di ettari che poi verrebbero desertificati nel giro di poche settimane.
«Il miglior modo per eliminare questa specie invasiva è catturarle, metterle in gabbia e dare loro una morte più giusta e dignitosa rispetto al colpo di fucile» conclude Cecere. Ma il processo di smaltimento e incenerimento è comunque lungo e soprattutto costoso, e al momento manca un piano nazionale o almeno regionale condiviso.

 


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