Come è verde la mia valle ovvero qualche riflessione sulle aree prative
Scrive Michele Varin sul nostro gruppo Facebook Parco di Monza per sempre:
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#NoMowMay è una sorta di movimento che mira a spostare lo sfalcio dei prati dopo il mese di maggio per assicurare alle api i fiori per bottinare e anche per favorire la propagazione delle piante da fiori. In Francia ho visto anche prati dove venivano lasciate delle "isole" non sfalciate per lo stesso motivo.
Potrebbe essere interessante fare un ragionamento simile anche al Parco di Monza?
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Ne ho parlato in un documento che ho caricato tempo fa su questa pagina e che contiene una serie di proposte per migliorare le condizioni della fauna nel nostro Parco. Ecco, di seguito, la parte che ho dedicato alle aree prative. L'idea di Michele è da sostenere e da promuovere. Proveremo a sottoporla al Consorzio Parco e Villa Reale.
Di più: ritengo sia il momento di stendere un vero e proprio protocollo di gestione per le aree prative. Ricordo che un documento di questo tipo non esiste. Le zone a prato del Parco sono curate dalla azienda Colosio (Cascina Molini di San Giorgio). L'azienda provvede a sfalcio e concimazione (con letame) dei prati in base ad una convenzione col Consorzio. questa attività non ha costi per il citato Consorzio.
Solo per due prati (Gerascia e Roccolo) l'azienda paga una quota.
I prati dei Giardini della Villa Reale sono in carico ad una azienda di servizi esterna.
Qui sotto, il testo riguardante le zone a prato, che avevo buttato giù tempo fa.
Aree prative, incolti, e colture a perdere
Coprono una estensione non indifferente ma godono, in qualche modo, di minore considerazione rispetto ai boschi. Vengono vissuti dai frequentatori del Parco soprattutto come scenari per attività di tipo ricreativo. Intendiamoci: la funzione del Parco come luogo per il tempo libero è centrale e non va messa in discussione. Per i settori prativi deriva, però, un impatto non da poco: un problema da affrontare. Anche se il calpestio, va detto, tende a concentrarsi in poche aree.
L’attività regolare di sfalcio ha permesso che col tempo si formasse una comunità vegetale e, soprattutto, che si consolidasse il manto erboso. Si arriva così alla formazione del cosiddetto prato stabile, ambiente prezioso e, alcune parti d’Italia, tutelato da specifiche categorie di aree protette.
Nella nostra Brianza, ci dicono gli esperti, possiamo trovare fino a 40-45 specie di piante erbacee nei prati stabili: non male. E nel Parco? Sempre gli esperti ci dicono che la comunità vegetale è un po’ più povera. Uno dei lavori da svolgere a breve sarà un aggiornamento dei dati relativi. Quali erbe abitano i prati del nostro Parco? Come sono distribuite? Esistono lavori svolti nel passato ma rimontano, ahinoi, agli anni ’90.
Anche se il calpestio tende a concentrarsi soprattutto in alcune porzioni, il disturbo per le specie animali e vegetali nelle aree prative è, comunque, complessivamente sostenuto. A titolo sperimentale potranno essere circoscritte piccole superfici di prato, vietandone l’accesso, e riducendo opportunamente o guidando gli sfalci. Il provvedimento avrebbe anche obiettivi scientifici: valutare l’evoluzione dell’ecosistema (variazioni nel numero e nel tipo di specie), e operare dei confronti con altri settori lasciati all’intervento e alla frequentazione dell’uomo. Allo stesso modo, dovrebbe essere steso un preciso protocollo che definisca una sorta di piano per la gestione dei prati, con attenzione, va da sé, per gli aspetti naturalistici.
Le zone di confine tra boschi e prati sono, nella stragrande maggioranza dei casi molto nette: mancano zone graduali di passaggio dall’uno all’altro ecosistema. Questi settori hanno importante ruolo ecologico: forniscono preziosi spazi per tante specie vegetali e animali (in particolare invertebrati, farfalle su tutti). Anche in questo caso, lasciare alla propria evoluzione naturale o guidare in maniera ragionata lo sviluppo di strisce di vegetazione a cavallo tra prati e boschi accrescerebbe la biodiversità. Per i frequentatori del Parco, la possibilità di osservare interessanti specie come le citate farfalle.
Alcuni settori potrebbero essere trasformati in superfici lasciate ad incolto, ovviamente guidato da opportuna gestione, per evitare il comparire di vegetazione infestante. In qualche zona, invece, potrebbero esser insediate colture a perdere – un esempio classico sono i girasoli –. Ricordiamo che lo stesso Parco Valle del Lambro ha realizzato interventi di questo tipo, per i quali, peraltro, esistono forme di finanziamento. Un settore del Parco candidabile per le operazioni appena menzionate si può individuare nelle zone a ridosso della Cascina Molini Asciutti: i prati di questa parte del complesso non sono particolarmente frequentati dai visitatori. Risulta quindi più agevole muoversi.
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